Il Guru

Era il tardo pomeriggio del 24 novembre 2019 quando io e mio fratello accompagnati dal nostro amico Noor siamo entrati nel quartiere Sufi della città di Dacca, capitale del Bangladesh. Il quartiere di Mirpur è famoso perchè ospita le reliquie del santo Shah Ali vissuto nel 15° secolo, trasferitosi a Dacca da Baghdad. Il pomeriggio è iniziato con la meraviglia nel cuore e negli occhi dopo aver partecipato alla lettura del nostro futuro da parte di un oracolo che si avvaleva di due pappagalli che raccoglievano per noi quello che doveva essere il nostro destino scritto su un foglietto tra mille in un mucchio. Affascinati da quell’esperienza e dal dono da parte di Noor di un bracciale in lega di ottone, segno di una profonda amicizia e fratellanza, ci siamo avvicinati all’albero sacro per la comunità del luogo poiché anche uno degli alberi più antichi della capitale, sopravvissuti all’urbanizzazione. Tutta la gente usava accendere una candela e pregare al cospetto di quell’albero, confinante con la tomba del santo, quindi per onorare la tradizione lo abbiamo fatto anche noi. L’atmosfera era intrisa di magia, sembrava di essere sospesi in un tempo che la ragione non sapeva afferrare. Tantissima la gente attorno a noi. Mentre noi vagavamo con i nostri corpi da una parte e con le nostre menti da un altra, di fronte a noi è comparso un personaggio difficile da confondere e soprattutto da smarrire nei propri ricordi… non abbiamo mai capito chi fosse, ci è stato indicato come una guida spirituale che frequentava quella zona quotidianamente, forse viveva proprio li. Un guru? Certamente aveva una dote: quella di distinguersi dagli altri, forse quell’identità così “colorata” era il frutto di un lungo viaggio tra i mille colori di un Paese così denso e diverso da non potersi definire nella sua complessità ma da poter integrare in se le cose che altrove non trovano un luogo.

White out

Come spesso accadeva nelle domeniche di qualche anno fa, si partiva presto al mattino per raggiungere qualche vetta. Questa serie è nata durante un’escursione in Val di Pejo, almeno così mi sembra di ricordare, quale fosse stata la vetta raggiunta ora mi sfugge ma per ora non ha importanza. La neve era stupenda ed io, mio fratello e un nostro amico, potevamo osservarne tutta la magnificenza ed il candore poiché eravamo i primi a tracciare il sentiero dopo la nevicata. Non sempre giro macchina al collo, anzi di rado, ma quella volta era con me, equipaggiata con ciaspole, ghette e ramponcini. Tenere il passo e fotografare non è semplice, lo è di meno se i tuoi compagni lo hanno più veloce del tuo… Di quel giorno il ricordo è questo, sconfinato tra ombre e luci, perduto nelle pieghe senza forma dell’intimo paesaggio che la montagna cela quando si sveste d’autunno per coprirsi d’inverno.